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Speranze italiane a Venezia. Passo a quattro  più un ricordo

Speranze italiane a Venezia. Passo a quattro più un ricordo

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(Di Carlo Di Stanislao) Erano sei anni che la mostra del cinema non aveva quattro titoli italiani in concorso. Allora, cioè nel 2009, i film di casa nostra che concorrevano al Leone d’Oro erano: Baaria di Giuseppe Tornatore, Il grande sogno di Michele Placido, La doppia ora di Giuseppe Capotondi e Lo spazio bianco di Francesca Comencini.
Non ce la facemmo e ci dovemmo accontentare de la Coppa Volpi alla russa adottata dal nostro cinema Ksenia Rappoport e del premio Mastroianni a Jasmine Trinca.
Quest’anno le speranze tornano in alto con quattro titoli a partire da Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio, realizzato tre anni dopo Bella addormentata, film a cavallo tra due epoche, il Seicento e i giorni nostri, che ha per protagonista Federico, un giovane uomo d’armi, sedotto come il suo gemello prete da suor Benedetta che verrà condannata a essere murata viva nelle antiche prigioni di Bobbio. Nello stesso luogo, secoli dopo, tornerà un altro Federico, sedicente ispettore ministeriale, che scoprirà che l’edificio è ancora abitato da un misterioso conte, che vive solo di notte. Il film girato nel paese d’origine del regista, dove ha istituito una scuola di cinema e un festival, ha per protagonisti quattro suoi fedelissimi: Roberto Herlitzka, il figlio Pier Giorgio Bellocchio, Filippo Timi e Alba Rohrwacher oltre all’attrice ucraina Lidiya Liberman che interpreta suor Benedetta.
Secondo film italiano in concorso è Bigger Plash  di Luca Guadagnino, remake molto libero del celebre noir francese La piscina di cui conserva l’alto tasso di tensione ed erotismo, sposando la vicenda da La Costa Azzurra a Pantelleria e raccontando con grande incisività l’incontro di una coppia formata da una famosa rockstar (Tilda Swinton) e un giovane fotografo (Matthias Schoenaerts) con un amico, ex compagno della donna (Ralph Fiennes) e la sua giovane figlia (Dakota Johnson).
Terzo titolo  Per amor vostro di Giuseppe Gaudino, che torna sul grande schermo quasi vent’anni dopo  e dopo una lunga frequentazione con il cinema documentario. Valeria Golino è la protagonista di questa storia in bianco e nero e interpreta la madre di tre figli prigioniera dei doveri familiari in cerca di un riscatto. Ambientato tra Napoli e Pozzuoli il film racconta un mondo di demoni reali e immaginari che la circondano. Acconto alla Golino Riccardo Scamarcio che, con lei, ha prodotto il film.
Infine il mio preferito: L’attesa, opera prima del giovane  Piero Messina, assistente di Sorrentino per This must be the place e La grande bellezza, che ha per protagonista una coppia di donne interpretate da Juliette Binoche e Lou de Laâge, Anna e Jeanne, isolate in una villa dell’entroterra siciliano, che aspettano l’arrivo di Giuseppe, figlio della prima, fidanzato della seconda, con un’ attesa che si trasforma in un misterioso atto di amore e di volontà.
Quattro splendidi film che ci auguriamo possano battere l’agguerrita schiera degli stranieri: The Danish Gilr del premio Oscar Tom Hooper; Francofonia di Aleksandr Sokurov; Marguerite di Xavier Giannoli; l’esordio alla regia  di Brady Corbet The Childhood of a Leader; Equals di Drake Doremus e ancora il documentario sulle icone del rock Janis di Amy Berg e l’israeliano Rabin, the Last Day di Amos Gitai.
Nella attesa egli eventi ci fa piacere la proiezione, lunedì 7 settembre in sala Grande, di Non essere cattivo, film postumo di Claudio Caligari, regista del cult underground degli anni Ottanta, autore del celebre Amore tossico, morto il 26 maggio scorso e che qui torna alla sua tematica più cara: la gioventù romana che sta ai margini. Ambientato a Ostia, e racconta i ragazzi di vita degli anni ’90, tra notti in discoteca, macchine potenti, alcool, droghe sintetiche e spaccio di cocaina.
Nel cast Valerio Mastrandrea e Silvia D’Amico, interpreti molto convincenti di un film autoriale e formalista, assolutamente brechtiano, dove ogni fotogramma ha significato e vita propria, che nasce con Dreyer e Bresson e arriva a Fassbinder e Scorsese, passando sempre attraverso Pasolini.

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