Tutti i lettori di fumetti (almeno quelli oltre gli “anta”) sanno che Steven Rogers, soldato statunitense scartato alla visita di leva e inserito in un progetto sperimentale del Dr.Erskine che gli somministrò una sostanza che lo rese molto più forte e molto più intelligente, è Capitan America, l’eroe americano per eccellenza. Successivamente il dottore-padre viene ucciso da una spia nazista infiltrata nella base e Steven si trova ad essere l’unico ad aver usufruito dei benefici dell’incredibile siero. Così finalmente viene arruolato tra le file dell’esercito americano per delle missioni segrete ed il presidente Roosevelt gli fa dono del famoso scudo circolare e indistruttibile, con i colori e la stella simbolo degli Stati Uniti, che diverrà l’arma di difesa e d’attacco del supereroe, nonché suo simbolo distintivo. In questi giorni, prima è uscito il video-gioco (il 18 luglio) ed ora, il 22 luglio in tutto il mondo, con 3500 copie, si attende la proiezione del film sul più “americano” dei supereroi, quel Capitan America che incarna, ora più che mai, la voglia di vittoria di una nNazione che dal Vietnam in poi, incassa solo sconfitte o, al massimo, sanguinosi pareggi. Il titolo completo (che sarà decurtato, per ragioni ovvie, del titolo “America” in Russia e Corea del Nord) è “ Capitan America – Il Primo Vendicatore” ed il ruolo di Steve Rogers è stato affidato a Chris Evans, mentre l’arcinemico scelto non poteva essere altri che il Teschio Rosso. Alle prese con gli accordi di distribuzione al di fuori degli Stati Uniti, la Paramount Pictures e i Marvel Studios, rispettivamente distributori e produttori del film, hanno preferito lasciare ai corrispondenti locali la scelta sul titolo preferito. Sono loro infatti a dare il titolo al lungometraggio, coscienti dell’immagine patriottica del supereroe, icona nazionale del bene dalla Seconda guerra mondiale in poi, e dunque dell’impronta americanista del suo personaggio. Nonostante l’opzione di eliminare il nome “America” dal titolo del film, in realtà solo tre stati hanno deciso di presentare il film e di promuoverlo senza il nome del supereroe. Sono Russia, Corea del Sud e Ucraina: resterà da vedere se i risultati al botteghino pagheranno questa omissione forzata. Capitan America, in verità, ha appena compiuto 70 anni, con una nascita avvenuta nel 1941 come personaggio dei fumetti, mentre infuriava la Seconda guerra mondiale e Steve rappresentava l’impavido, retto e coraggioso americano, in contrasto con l’europeo bellicoso. Grazie al lavoro congiunto di Joe Simon e del grande Jack Kirby, più che di un vero e proprio supereroe alla Superman, egli è solo un uomo dal fisico perfetto e dalle abilità infinite, grazie a una mutazione genetica dovuta al siero del super soldato. Stan Lee e gli autori delle storie successive – artisti del calibro di John Byrne, Jim Steranko, Mark Waid e Ed Brubaker – eliminano gli attributi più nazionalistici del personaggio, dotandolo di una sensibilità nuova, più in linea con i tempi, rendendo il Capitano l’incarnazione degli ideali più puri del popolo statunitense e non solo: la libertà, la giustizia e l’uguaglianza. Caratteristiche che ne fecero uno dei supereroi più famosi e amati. Però, negli anni, Capitan America si trasformò in un protettore degli americani contro il comunismo e con questa sua nuova veste ebbe poco successo. Al cinema vanta qualche passaggio da comparsa e un lungometraggio del 1990, suo omonimo. Le battute sarcastiche non fanno parte del suo arsenale, come accade per un Wolverine qualunque e simbolica, in questo film diretto da Joe Johnston, con, oltre a Chris Evans, Hugo Weaving e il premio Oscar Tommy Lee Jones, è anche la scelta dell’arma: uno scudo, che è la difesa, il simbolo di chi si arrende mai, che non cade, che combatte, per un ideale, fino alla morte e spesso anche oltre. Per certi versi è la speranza, la bandiera che non accetta di essere ammainata. Capitan America difende gli ideali su cui è costruita la nazione, e lo farebbe anche contro la stessa Casa Bianca, cosa che gli è capitata più di una volta. In uscita con il film anche due volumi: “Io sono Capitan America” (una selezione di storie a fumetti che racchiude l’essenza stessa del personaggio attraverso le varie epoche che lo hanno visto protagonista) e “Capitan America Movie Book (uno speciale contenente schede dettagliatissime sui personaggi della pellicola); il primo scritto da Stan Lee, Jack Kirby, il secondo di autori vari, messi in pista dalla stessa Paramount, che ieri ha annunciato che sarà Tom Cruise la star del suo muovo thriller “One Shot”, affidato a Christopher McQuarrie e le cui riprese inizieranno in autunno, con un plot incentrato sul personaggio del ‘cavaliere solitario’ Jack Reacher, un ex ufficiale della polizia militare americana con un forte senso della giustizia, che molla l’esercito per viaggiare in lungo e in largo per gli States ed aiutare tutte le persone deboli o in difficoltà. Dopo di che, dopo aver prestato soccorso, così come è arrivato se ne va, riprendendo il suo cammino. E noi pensiamo che davvero gli States hanno di nuovo bisogno di eroi e, per buona pace di Brecht, la Paramount è pronta a dare una mano, riprendendo il vecchio e mai decuduto (almeno da loro), mito di Coriolano: un eroe temuto sui campi di battaglia, ma del tutto alieno alla politica e schivo rispetto al potere. Ogni americano medio, ieri come oggi (forse oggi ancor di più), si sente un Coriolano: uomo di poche parole, privo della retorica dei politici e più avvezzo alle armi che ai protocolli della democrazia, un eroe “solo”, per il quale vi è posto né nella politica né nella comunità. Non a caso questo “conflitto” interessava tanto Bertolt Brecht che ci ha lasciato un pregnante saggio preparatorio alla messa in scena del Coriolano, ma con esiti antieroici che sono del tutto opposti a quelli (non solo cinematografici) americani.
Carlo Di stanislao
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