(Di Carlo Di Stanislao) Molti applausi e buone recensioni per i film italiani, ma nessun premio al TIFF 2013, che invece attribuisce il People’s Choice Award al bioptic “12 Years a Slave” diretto da Steve McQueen, co-prodotto da Brad Pitt, interpretato da Chiwetel Ejiofor e Michael Fassbender e basato sull’autobiografia di Solomon Northup, dove si racconta di un uomo di colore che si ritrova rapito e venduto come schiavo.
Un film magnifico ed un premio annunciato per un film che certamente sarà fra quelli più premiati agli Oscar, nella continuità di una tradizione recente che vede un stretta sintonia fra giuria di Toronto e premi al Kodak Theatre di Los Angeles, con quattro degli ultimi cinque vincitori del TIFF finiti nella cinquina dell’Academy come miglior film: “The Millionaire”, “Precious”, “Il discorso del re” e “Il lato positivo – Silver Linings Playbook”.
Meno scontato il premio Midnight Madness andato al regista giapponese Sion Sono e al suo “Why Don’t You Play In Hell?”
Vincono il Premio YouTube per il miglior cortometraggio canadese Walter Woodman e Patrick Cederberg per “Noah”, che, secondo la giuria composta dallo scrittore Rafael Katigbak, il regista e sceneggiatore Nathan Morlando e il documentarista Nisha Pahuja: “è un commento all’effimero, all’usa e getta, alla cultura ADD da cui siamo consumati e che molti di noi vivono e ci racconta una storia in un modo che non abbiamo mai visto prima e la racconta in maniera egregia. E’ fresco, innovativo ed ha avuto la straordinaria capacità di incarnare emozioni complesse attraverso il semplice gesto del mouse“.
Quanto agli altri premi “canadesi”, assegnati da una giuria composta da Liz Czach, autore e professore associato presso il Dipartimento di inglese e Film Studies presso l’Università di Alberta ed ex programmatore di festival del cinema canadese; Laurence Kardish, storico del cinema, autore e Senior Curator emerito di cinema presso il Museo di arte moderna di New York; Martin Katz , produttore cinematografico e fondatore di Prospero Films e il pluripremiato regista, scrittore e attore Jacob Tierney; vince il premio Città di Toronto edil Canada Goose Award, Alan Zweig , con il documentario (è davvero l’anno di questo genere, dopo il trionfo di “Sacro GRA” a Venezia) “When Jews Were Funny”; mentre per l’opera prima si affermano Shayne Ehman e Seth Scriver (è anche il tempo delle coppie, piuttosto che dei singoli autori) per “Asphalt Watches”.
Tornando al nostro cinema piacciono le opere prime “Border” e “Il Sud non è niente” e meno gli autori già illustri: Scola, Sorrentino e Lucchetti, ma resta alto l’interesse del Festival per il nostro modo di fare film con mezzi misurati e grande inventiva.
Fra i film più applauditi quello su Nelson Mandela “Long Walk to Freedom” , pellicola dell’inglese Justin Chadwick, che prende il titolo dalla celebre autobiografia scritta dallo stesso Mandela, costato una lunga lavorazione che ha permesso al produttore sudafricano Anant Singh di mettere a punto ogni singolo dettaglio di comune accordo con la famiglia e la Nelson Mandela Foundation, ma con il disaccordo di Winnie Mandela, e dove si racconta il Mandela giovane e rivoluzionario, pieno di intelligenza e idee, ma l’uomo con le sue debolezze, incongruenze e fragilità, molto diverso dalla’”Invictus” di Eastwood del 2010.
Mandela, simbolo della lotta all’apartheid, dimesso dopo tre critici mesi dall’ospedale di Pretoria il 1° settembre scorso, è interpretato dall’attore inglese Idris Elba, mentre nei panni della moglie Winnie vi è Naomie Harris, conosciuta per il ruolo di Eva in Skyfall.
Passando dal cinema alla cronaca, lo squallido balletto che in si svolge in Sudafrica sulle condizioni di salute di Mandela fa comprendere lo stato di degrado raggiunto da questo paese e dalla sua classe dirigente. Mentre intorno al letto di Madiba membri della famiglia allargata si scannano tra loro e con i dirigenti dell’African National Congress, compreso il presidente Yacob Zuma, il paese va a rotoli e l’anno prossimo ci sono le elezioni.
Il paese è attraversato da tensioni sociali senza precedenti e sono in sciopero dipendenti di colossi dell’automobile come Toyota, Volkswagen e Ford, mentre i sindacati di questo comparto hanno respinto una proposta di aumenti del 10%, ribadendo la richiesta di incrementi del 14%.
Sono in sciopero da giorni anche i lavoratori del settore minerario. Il National Union of Mineworkers, il principale sindacato del settore, aveva respinto nei giorni scorsi una proposta di aumenti da 5000 a 5300 rand al mese, da circa 360 a 381 euro. Il contenzioso tra multinazionali e lavoratori dura da mesi, le imprese hanno già fatto massicci licenziamenti e minacciano altri migliaia di lavoratori. Si tenga conto che: gli aumenti salariali richiesti riguardano stipendi da fame, di non più di 400 euro al mese, che i lavoratori sono quasi tutti neri e che nei consigli di amministrazione delle multinazionali minerarie ci sono anche vecchi leader della lotta anti apartheid e oggi dirigenti dell’African National Congress.
Forse un film sugli ideali del giovane Mandela servirà a ricordare ai sudafricani i motivi che li portarono ad uscire da anni difficilissimi all’insegna della pace civile, della collaborazione e della unità.
Altro interessantissimo titolo al TIFF 2013: “Salinger”, anche questo un documentario, firmato da Shane Salerno, incentrato sulla vita dell’autore de “Il giovane Holden”, distribuito da Weinstein Company e costruito con una serie di contributi e interviste a Philip Seymour Hoffman, Edward Norton, John Cusack, Danny DeVito, Martin Sheen, Tom Wolfe e Gore Vidal e i vincitori del Premio Pulitzer A. Scott Berg e Elizabeth Frank, per ricostruire l’infanzia, la carriera e i demoni personali di Salinger, ispiratore della beat generation, morto nel 2010, noto per la sua natura schiva e riservata, che nel 1953 si trasferì nei boschi del New Hampshire in parte per sfuggire alle intrusioni e alle brutture della cultura della celebrità americana e che riemerge in un’opera che è a tutti gli effetti “a vendetta di tale cultura”.
L’italo-americano Salerno, sceneggiatore de “Le belve” di Oliver Stone, ha voluto inoltrarsi dietro il muro di riserbo innalzato dal celebre scrittore statunitense, che dal 1965 non pubblicò più nulla, ma pure continua ad influenzare la letteratura e non solo quella americana. Nel film c’è anche la rivelazione che, prima di morire, Salinger ha ultimato cinque lavori, che saranno pubblicati tra il 2015 e il 2020 e ci si chiede quali gemme questi romanzi sapranno riservarci.
Il film arriverà nelle sale USA il 13 settembre, ma non è prevista, almeno per ora, un’uscita italiana, per cui ci adopereremo, attraverso l’Istituto Cinematografico Lanterna Magica de L’Aquila, di averlo nei giorni del Rosetio Opera Prima nella edizione 2014.
Come ha scritto su Repubblica Monica Gasparri, il personaggio di Holden Caulfield si staglia magistrale nella schiera dei protagonisti della letteratura americana e mondiale, un po’ come Jay Gatsby, il capitano Acab, Arturo Bandini o Harry Angstrom, rendendo letteralmente leggendario il suo autore e creando una magia che è difficile da definire e che raccontare la solitudine e la delusione ed è in grado di descrivere quella sensazione che non si può non aver provato almeno una volta nella vita: quella di essere fuori posto in ogni luogo.
Se Salinger lo ha fatto sulla carta, Salerno, dopo dieci anni di ricerca, lo fa sulla pellicola e continua anche come saggio, intitolato “La guerra privata di J. D. Salinger”, uscito in America e Gran Bretagna il 3 settembre, 800 pagine che restituisco a Salinger e alla sua opera principale un respiro più ampio rispetto all’etichetta di semplice biografia letteraria.
Altro eccellente film a Toronto, il documentario (un altro) su Marylin Monroe: “Love, Marylin”, che doveva chiamarsi “Fragments: Marlyn Monroe”, girato da Liz Garbus, appena uscito nelle sale di tutto il mondo, tratto dal libro oche raccoglie i testi inediti di Marilyn Monroe, che propone interviste, materiali d’archivio, video e foto della diva americana e che sarebbe dovuto uscire per agosto 2012, in occasione nel 50° anniversario della morte di Marilyn.
Dicevamo dell’attenzione che, negli ultimi anni, Cannes, Venezia e ora Toronto, riservano al documentario, non solo come produzione di carattere culturale, informativo, sociale, politico, scientifico, divulgativo, ma come atto creativo finalizzato alla diffusione della conoscenza di diversi aspetti della società e dello scibile umano ed insieme come vero e proprio spettacolo cinematografico, non meno insigne dei film di finzione.
Oggi, gran parte dei film documentari vengono prodotti dalle reti televisive pubbliche: la rete pubblica inglese BBC è un’importante ed autorevole produttrice di documentari divulgativi, mentre per quanto riguarda il documentario di creazione o d’autore, il canale culturale franco-tedesco o Arte è sicuramente il principale referente produttivo in Europa.
Ma, dall’inizio di questo millennio, molto si muove in Italia, Usa ed altri paesi e rende il genere più conosciuto e considetato che in passato.
Per questo, con vari amici autori nati o legati con la nostra città de L’Aquila, (mi riferisco soprattutto ma non solo a Girolamo Di Mattia, Linda Parente e Francesco Paolucci), vorremo realizzare rassegne e dibattiti su documentari e docu-film come creazioni d’autore ed autentiche opere cinematografiche a L’Aquila, per mostrare come si è evoluta e come è stata interpretata la lezione dei grandi del passato, da Robert Flaherty a Dziga Vertov, da Joris Ivens a John Grierson, collegandoci al Festival di Cortona che, da due anni, ideato e diretto da Luca Zingaretti, si occupa di questa particolare forma cinematografica, oltre che alla Mediateca Toscana a Firenze, che con il regista Stefano Missio e la collaborazione dell’Associazione Documentaristi Anonimi, cura gli incontri i “Cantieri del Documentario”: laboratori sui processi di creazione e di produzione di opere documentarie, con particolare riferimento all’immersione nel reale e la ri-creazione di un vissuto e di un tessuto sociale e relazionale
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