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Un mese di  Serbia a Roma

Un mese di Serbia a Roma

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(di Carlo Di Stanislao) – Il serbo e il croato sono sostanzialmente due varianti della stessa lingua, motivo per cui durante il periodo della repubblica federale di Iugoslavia si poteva parlare di lingua serbocroata. In realtà, però, ognuna delle due lingue ha una tradizione letteraria indipendente così come la storia dei popoli serbo e croato è stata distinta per secoli. Rimangono però delle differenze: oltre alla scrittura cirillica per il serbo e latina per il croato, il fatto che alla base del croato sia il dialetto stokavo ijekavo, mentre il serbo si fondi sullo stokavico ekavo. La lingua serba è stata creata dal filologo Vuk Stefanovich Karadzich, con il testo “Serbian language” (1815), in cui  trasformò il serbo “volgare” in un idioma nazionale, depurandolo dalle inflessioni dialettali. Da allora, la cultura serba è sempre stata al passo dei tempi, in tutti i campi. Per la letteratura Ivo Andric ha vinto il Premio Nobel con il libro Na Drini Cuprija (Un ponte sulla Drina), che tratta le differenze religiose nella penisola balcanica e, in campo musicale, artisti moderni come per esempio Momcilo Bajagic e Dorde Balasevic hanno sapientemente mescolato temi della tradizione con poesia di strada e jazz, con ampi riconoscimenti internazionali. Promosso dall’ Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale e dalla Consigliera Assembleare Aggiunta per l’ Europa Tetyana Kuzyk, è iniziato il 28 dicembre, a Roma, il mese della cultura serba, iniziativa che rientra nell’ ambito del progetto “Arte e cultura dell’ Europa dell’ Est a Roma”. Nel museo della Civiltà Romana, la kermesse comprende le mostre di cinque artisti serbi che vivono e lavorano a Roma: Ljiljana Petrovic Vavalli, Ana Kapor, Vladimir Pajevic, Srdja Mirkovic e Marta Jovanovic, con un programma con tanta musicae in particolar modo la musica popolare, con esibizione del chitarrista Tibor Tepic e un concerto, in 14 gennaio, in occasione del Capodanno serbo, di musica da camera di uno dei migliori quartetti di archi serbi, il quartetto TAJJ, proveniente da Novi Sad, Provincia di Vojvodina. Ma la rassegna, che si concluderà il 27 gennaio, serve anche per per avvicinarsi alla storia, alla lingua, alla letteratura, alla cinematografia e alla gastronomia serbe. Il 10 gennaio, ad esempio, protagoniste saranno la cultura e la lingua serbe con le mostre ”Cultura serba – viaggio attraverso i secoli” e l”’Alfabeto cirillico’. All’imperatore Costantino I e alle sue riforme giuridiche e religiose verra’ riservato l’incontro ‘Costantino I al Museo della Civilta Romana’. Altro sguardo sulla Serbia lo daranno, i giornalisti italiani che hanno vissuto e coperto alcuni dei momenti più caldi della storia recente del Paese. E, ancora, l il 22 gennaio, gli studenti italiani della Cattedra di Serbo dell’Università “La Sapienza, ” terranno una lezione introduttiva pubblica di lingua serba. Mentre il 25 gennaio, saranno presenti due scrittori tradotti e pubblicati in italiano: Ljiljana Djurovic Habjanovic e Dusan Kovacevic. Si potrà inoltre assistere a una performance teatrale tratta dal  romanzo “Il gioco degli angeli” della Habjanovi?, con le attrici Claudia Lerro e Simona Oppedisano del  “Teatrificio 22″. La raccolta di pezzi teatrali  del grande autore Dušan Kova? evi?, pubblicata in Italia con il titolo”Underground teatrale” verrà illustrata attraverso la proiezione di brani del film “Underground” di Emir Kusturica, premiato a Cannes per la migliore sceneggiatura. Va qui ricordato che il cinema serbo è stato il trionfatore della 22° edizione del Film Festival di Trieste (dal 17 al 24 gennaio scorsi), con i film “Besa” di Srdjan Karanović e il documentario “Cinema Komunisto” di Mila Turajlić, che si sono aggiudicati i riconoscimenti più importanti. MNel corso della kermesse romana, offrirà una esauriente panoramica sulla produzione cinematografica serba e su quella croata degli ultimi anni, con interventi mirati dai quali si potranno trarre interessanti considerazioni sulle due società che le esprimono (la Serba e la Croata) e sulla situazione politica e culturale dopo il conflitto balcanico. Durante la rassegna, sarà anche presentato “A Serbian film”, discussa pellicola del regista e sceneggiatore Aleksandar Radivojevic, perfetta metafora dell’urlo indignato di un’arte che vuole essere libera e indipendente, in una Nazione in cui cultura e creatività artistica sembrano essere minacciate dal bavaglio del conformismo e dalla dittatura del politicamente corretto. La manifestazione romana si concluderà, come detto, il 27 gennaio, con la festa di San Sava, primo arcivescovo serbo (1219-1233), figura di spicco nel panorama politico e culturale della Serbia medioevale, con una tempio a Belgrado che è la più grande chiesa ortodossa al mondo, il cui corpo imbalsamoto e relative relique, furono bruciate dai Turchi il 27 aprile del 1595. La Serbia è stata a lungo dominata dagli Ottomani, con una prima invasione turca guidata dal sultano Murad I, deciso a estendere i suoi possedimenti su tutti i Balcani. Lo scontro finale ebbe luogo alla piana dei Merli, oggi Kosovo Polje, a nord di Pristina. Il principe serbo Lazar Hrebeljanovic e il signore della Bosnja Tvrtko Kotromanic lanciarono un esercito di 25mila unità contro 40mila soldati turchi. La battaglia non fu uno scontro di religioni, come una certa retorica potrebbe descriverlo: tra le fila di Murad I erano molti i vassalli cristiani, a dar man forte ai serbi erano invece valacchi, croati e albanesi. Era il 28 giugno 1389, giorno dedicato a San Vito. La battaglia fu sanguinosa, il sultano vi perse la vita ma l’alleanza serba ne uscì comunque sconfitta. A questo punto la storia si mescola alla leggenda. Una serie di cicli epici racconta la battaglia di Kosovo Polje, una battaglia che è diventata simbolo dell’indipendenza del popolo serbo. Un’indipendenza che proprio alla piana dei Merli perse per secoli, ma i canti che ne narrano le vicende si accompagneranno (da allora in poi) alla speranza della resurrezione. Il Kosovo, insomma, è per l’identità serba un tassello fondamentale, un utero da cui sarebbe idealmente dovuta rinascere la patria perduta. Ecco perché oggi, che ben altre vicende lo attraversano, il Kosovo è tanto importante per i serbi. Dal giorno di quella battaglia, ci dicono i canti popolari, cresce sulla piana dei Merli un fiore purpureo, il buzur, che ricorda il sangue versato da tanti eroi. Oggi però quell’evento è divenuto strumento retorico-ideologico nelle mani degli ultranazionalisti serbi. Nella ricorrenza dei 600 anni dalla battaglia, Slobodan Milosevic fece dell’evento un simbolo della rivalsa che era necessario prendersi sugli albanesi, inaugurando così una persecuzione che sconfinò nella pulizia etnica. Albanesi che nulla c’entravano in quel 1389 se non come alleati dei serbi. I principi albanesi, allora cattolici, combatterono accanto a Lazar Hrebelianovic e ai serbi, a Tvrtko e ai bosniaci, al principe valacco Mircea cel Batran (il Vecchio). Uno scontro che vide uniti i popoli dei Balcani e che oggi è invece simbolo di divisone. Non ha caso oggi si parla di “balcanizzazione”, con riferimento ad ogni processo storico-politico che porta una regione in condizioni di grave, quasi endemica instabilità e divisione. Ma, come notano alcuni, il termine può assumere diversi significati: può voler dire omologazione di realtà etniche diverse; può significare porre un’etichetta ad una regione d’Europa considerandola “Altro”e facendola fungere da un qualcosa che attraverso il suo riconoscimento o negazione si fonda l’autocertezza dell’altra parte. Con la caduta del muro di Berlino e con la caduta del Socialismo Reale,la parte occidentale d’Europa ha riscoperto di avere al suo interno l’Altro Intraeuropeo che era stato celato per quasi 50 anni. Questa riscoperta di un “Se” dimenticato è avvenuta in modo più o meno dirompente. Nel caso dei Balcani, come sappiamo e abbiamo visto, la situazione è stata e è tragicamente drammatica. Ma nonostante i molti anni dalla caduta del muro, sembra ancora legittimo parlare di Altro riferito ai Balcani. Piuttosto, va detto e chuiarito, che è ancora comodo affermare che all’interno dell’Europa ci sia un Oriente con il quale confrontarsi e attraverso il confronto affermare la diversità per ottenere più incisività di intervento e raggiungere una propria legittimazione politica e sociale.

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